De’ Culatelli investiti

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Di Luigi Pelizzoni

È ormai noto, a quasi tutti, che le origini del Culatello non si possono, disgraziatamente, far risalire al famoso banchetto del 1322 descritto dal ferrarese Bonaventura Angeli, primo storico ufficiale della città di Parma. Si trattava, purtroppo, di una banale invenzione, che ha permesso a numerosi pubblicisti di annoverare il Culatello fra i più antichi salumi nostrani.
Omaggi di Culatelli venivano offerti dai Pallavicino a Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, e se lo dice Angelo Pezzana non se lo sarà certo inventato. Mancano tuttavia le conferme.

In quel secolo, in ogni caso, il Culatello costituiva probabilmente un dono regale: il pegno che i sudditi fedeli facevano ai loro signori; del resto questo omaggio potrebbe essere carico anche di significato simbolico: uno scambio di “investiture”.
Il Culatello infatti viene “investito”, ricoperto e strettamente legato o nella sua vescica o in quella di un bovino, oppure nel “sunsèn” (pelle di grasso che copre il polmone) di consistenza simile alla vescica.
Il termine “investitura” compare nel 1691 nel Gioco della Cuccagna che mai si perde e sempre si guadagna(1), un passatempo simile a quello dell’oca, disegnato dall’incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli (1634-1718) che individua in questo salume la specialità gastronomica di Parma.

L’immagine conosciuta dai principali cultori dell’arte culinaria cittadina non è stata unanimemente interpretata. La somiglianza di questa investitura con l’odierno culatello, sembra invece evidente almeno per quanto riguarda le dimensioni. Un minimo dubbio potrebbe sorgere per l’assenza della particolare forma, tipica del salume di Zibello, a “pera”. D’altra parte non sarebbe forse ammissibile che il Mitelli avesse del salume una semplice conoscenza da buongustaio?
È lecito chiedersi anche per quale ragione il Culatello compaia prima nell’iconografia che in altri documenti; ancora una volta la risposta è da ricercare nell’eccessivo pudore degli scrittori nei confronti del termine.

La prima citazione esplicita del Culatello risulta in un documento del Comune di Parma del 1735, nel quale, sulla base di disposizioni precedenti date l’11 maggio, vengono elencati i prezzi dei prodotti ottenuti dalla lavorazione dei maiali. Si tratta del Calmiero della Carne Porcina salata(2), in esso si riporta per la prima volta il termine “Culatelli senz’osso”. Non è chiaro perché proprio in un momento di transizione e di incertezza quale in periodo 1732-1736 – morte di Antonio Farnese, arrivo e partenza di don Carlos di Borbone, guerra di Parma contesa da spagnoli e austriaci – compaia il Culatello.

Sta di fatto che grazie a questo documento, oggi si può affermare che è conosciuto da almeno due secoli e mezzo. Il valore dei prodotti, espresso in soldi per ogni libbra, testimonia una quotazione relativamente bassa per il Culatello (19 s.), di poco superiore al prosciutto (16 s.), e agli altri prodotti (fra i 15 s. e i 18 s.), ma assai lontano dal valore del salame magro (30 s.) e inferiore a quello del salame grasso (24 s.). Nei documenti successivi il salume della Bassa compare ancora in una grida del 13 aprile 1745(3) e costa solo 16 soldi per libbra; probabilmente, come tutti gli altri prodotti, il prezzo era diminuito in virtù di una congiuntura favorevole o di un’alta produzione di carne di maiale salata. Nello stesso anno, per la cronaca, rientravano in città gli spagnoli, che avrebbero permesso il ristabilimento del Ducato sotto la dinastia borbonica. L’anno dopo, 7 aprile 1746(4) i Culatelli senz’osso costavano 20 soldi per libbra ed erano parimenti aumentati i prezzi di tutti gli altri prodotti.

Un confronto con una grida stampata a Piacenza sessanta anni prima, il Calmiero della Carne Porcina, & altro, pubblicata il 14 aprile 1684(5), permette di avanzare l’ipotesi che il Presutto senz’osso corrispondesse al Culatello. I valori, infatti, espressi dal calmiere in soldi per libbra sono i seguenti:
Salame s.14; Mortadella lire 1; Presutto senz’osso s.10; Presutto con osso s. 8; Lardo s. 10; Strutto s. 10; Hamme e Gambetti s. 6; Panzette e Gole s. 8; Salsizza s. 9; Songia s. 10.

Queste cifre mostrano una particolare analogia con i prezzi già precedentemente documentati. D’altra parte qualcuno ancor oggi parla del Culatello come di un Prosciutto disossato e non più esattamente come della parte posteriore della coscia del maiale.
Se fosse così questo salume risulterebbe conosciuto, seppur sotto altro nome, almeno dal 1684 precedendo la descritta immagine del Mitelli.
Il governo borbonico (1748-1802) sviluppò in seguito un maggiore controllo sulle diverse attività economiche del ducato; un Avviso del Magistrato Camerale di Piacenza, rivolto a Lardaroli e Pescivendoli, nell’intento di chiarire quanto li riguarda nella “Grida generale del sale”, permette di conoscere i procedimenti di salagione, conservazione e vendita delle carni di maiale(6)
Ancor più puntuali appaiono gli interventi del governo al fine di garantire il fabbisogno alimentare dei cittadini e scongiurare la penuria di prodotti che avrebbero potuto indebolire irreparabilmente la già povera economia del ducato.
All’uopo vennero emanate alcune grida volte al controllo della produzione e del commercio degli alimenti; fra quelle che riguardano l’investitura in questione è L’Avviso per la notificazione della Carni Suine Salate e Contrattazione all’ingrosso delle medesime, pubblicato a Parma il 21 aprile 1764, nella quale si ordinava il censimento di salami, spallette, bondiole, culatelli investiti, prosciutto con l’osso, cossetto o Culatello senz’osso, lardi, panzette, gole, gambetti, distrutto o dolego e songia(7).
Non si tratta di un provvedimento isolato, ma di un intervento tipico dei momenti di carestia. Analogo provvedimento si pubblicò infatti negli anni 1783, 1785 e 1786(8).

Alla morte di don Ferdinando (9 ottobre 1802) il ducato di Parma passava sotto il diretto dominio della Francia. L’amministratore generale degli stati di Parma, Piacenza e Guastalla, Médéric-Louis-Elie Moreau de Saint-Méry, sviluppò il primo tentativo moderno di formulare una statistica dell’esistente, dal quale risulta che l’allevamento suino era abbastanza sviluppato(9).

Un atto del Comune di Parma, il Calmiero della Carne Porcina Salata… del 9 aprile 1805(10), non lascia dubbio alcuno sull’esistenza del Culatello inteso nell’accezione moderna. Basta scorrere l’elenco delle carni per accorgersi che il suo valore è il più elevato: 48 soldi per libbra; inoltre dal confronto con gli altri prodotti emerge che si tratta di un salume quasi completamente magro. Il Salame magro, che costava quasi il doppio in passato, ha ora il medesimo valore dei Culatelli investiti, le altre carni valgono un quinto in meno, i Prosciutti circa due quinti in meno, Gole, Pancette e Songia solo la metà. E’ una conferma del Calmiere del 3 aprile 1776 pubblicato da Enrico Dall’Olio.

Una volta conseguito il pieno riconoscimento del proprio valore come prodotto gastronomico, il Culatello perderà la qualifica di investitura e risulterà fra i termini registrati dai vocabolari, grazie anche ad alcune prestigiose mediazioni: la prima, del 1818, è dovuta al poeta dialettale parmigiano Giuseppe Callegari, che in una sua novella cita due specialità parmensi fra quelle ammannite in Paradiso: la Bomba di riso e il Culatello; l’altra proviene dal carteggio fra lo scultore Renato Brozzi, di Traversatolo (Parma), e Gabriele d’Annunzio. Il Brozzi conosceva bene questa prelibata investitura e riforniva volentieri il poeta che, da avido ghiottone, considerava il Culatello una vera panacèa.

Se il Culatello affonda le sue radici nella memoria storica della cultura contadina, è proprio in questa zona che raggiunge la sua perfezione: nei casolari della Bassa, dove la tradizione mantiene viva la qualità di un cibo inimitabile, degno delle mense più raffinate, e dove è ancora possibile rivivere l’immagine della figura femminile che mostra le investiture di Parma rappresentate dal Mitelli oltre 300 anni fa.