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Il Culatello nella storia

Si narra che già nel 1332, al banchetto di nozze di Andrea dei Conti Rossi e Giovanna dei Conti Sanvitale, si facessero apprezzare alcuni Culatelli, recati in dono agli sposi; e che, più avanti, i Pallavicino avessero offerto omaggi di Culatello a Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano.

Si narra, appunto. Sfortunatamente di questi episodi non si trovano i documenti di riferimento.

E’ tuttavia certo che la “nascita” del culatello sia da collegare strettamente alla costituzione del feudo dei Pallavicino, che governarono i territori di Busseto, Zibello e Polesine dal 1249 fino all’epoca napoleonica, per più di mezzo millennio e che favorirono l’agricoltura e l’allevamento dei suini. Non è un caso che i colori argento e rosso del loro blasone siano stati oggi ripresi nel marchio del Consorzio di tutela del Culatello.

Figura con il nome di “Investiture di Parma” nel 1691, in un disegno dell’incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli (1634-1718), raffigurante una donna con in mano un salume riconducibile al culatello, scelto in maniera significativa per rappresentare le specialità di Parma nel Gioco della Cuccagna che non si perde e sempre si guadagna, non dissimile da un gioco dell’oca in cui ogni località è rappresentata da un diverso prodotto alimentare simbolo.

La prima citazione esplicita e “ufficiale” del culatello risale però al 1735, all’interno di un documento del Comune di Parma: il “Calmiero della carne porcina salata” in cui spunta un prezzo piuttosto basso, 19 soldi per libbra, inferiore a quello del salame, all’epoca il salume più costoso. Nei documenti ufficiali compare ancora in una grida del 1745 e del 1746, nelle “Notificazioni delle carni suine salate” del 1764, 1783, 1785 e 1786 e nel “Calmiero della carne porcina” del 9 aprile 1805, dove il suo valore è, ora (e per i secoli a seguire), il più elevato: 48 soldi per libbra. E’ presente nei menù di Casa Sanvitale nel 1885.

Le prime citazioni letterarie sono ottocentesche, ad opera del poeta dialettale parmigiano Giuseppe Maria Callegari (1785-1829) che lo nomina fra le pietanze servite in paradiso, mentre Giuseppe Verdi (1813-1901) lo porta con sé a San Pietroburgo nel 1862 per celebrare il successo della Forza del destino. Ma sarà il “vate” Gabriele D’Annunzio (1863-1938) a dargli fama, decantandolo come “salata e rossa compattezza porcina” e dichiarandosi in una sua lettera allo scultore traversetolese Renato Brozzi (1885-1963) del 1931 “un cupidissimo amatore del parmense culatello”.