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Questo servizio è stato realizzato grazie al sostegno di Fondazione Cariparma

Benvenuti all’Antica Corte Pallavicina, il palazzo signorile che dal XIII secolo si affaccia sul fiume Po e oggi ospita il Museo del Culatello. Il percorso espositivo è suddiviso in otto sezioni che raccontano il territorio della Bassa parmense, il maiale, la figura di Sant’Antonio protettore degli animali, la Famiglia Spigaroli e la figura del norcino, l’antica festa crudele, il Culatello e gli altri salumi del territorio. La visita al Museo si conclude nell’Hosteria del Maiale e del Culatello dove è possibile degustare e acquistare i prodotti tipici dell’azienda.

Ci troviamo nella Bassa parmense, la zona pianeggiante compresa tra il fiume Po e la via Emilia, un’area vocata da sempre alla produzione del Culatello. Gli inverni freddi e nebbiosi e le estati torride ed assolate permettono la lenta maturazione dei sapori e dei profumi che rendono inconfondibile il Re dei salumi, il Culatello.

MASSIMO SPIGAROLI:
“Ci troviamo all’Antica Corte Pallavicina. Il palazzo venne restaurato da Galeazzo Pallavicino alla fine del Quattrocento sui resti di un antico fortilizio. Nato come dogana per salvaguardare i fiorenti traffici fluviali, fu trasformato nel 1700 in azienda agricola. Il mio bisnonno Carlo arrivò all’Antica Corte come affittuario e da allora in poi iniziò a dedicarsi alla coltivazione dei campi e all’allevamento di maiali per la produzione dei salumi. La Corte, successivamente abbandonata per anni, stava andando in rovina.
La nostra famiglia la acquistò nel 1990 e, dopo lunghi lavori di restauro, le cantine dove i Pallavicino stagionavano i salumi sono tornate a riempirsi di Culatelli”.

L’Hosteria del maiale e del culatello, il ristorante stellato e le undici confortevoli stanze del Relais sono pronti ad ospitare clienti esigenti e interessati a conoscere questo angolo di paradiso gastronomico. In queste antiche sale è stato allestito anche il Museo del Culatello e del Masalén.

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PER ACCEDERE AL MUSEO ATTRAVERSIAMO IL CORTILE E SCENDIAMO LA SECONDA RAMPA DI SCALE A SINISTRA

Il Museo del Culatello e del Masalén, voluto dalla Famiglia Spigaroli, è allestito nei suggestivi ambienti dell’Antica Corte Pallavicina e ci porterà a conoscere, attraverso le sue sale, tutti i protagonisti della storia del Culatello. Il percorso museografico è stato curato dallo storico Giancarlo Gonizzi, l’allestimento dall’architetto Lorenzo Lottici, la grafica è di Giulio Belletti. La visita dura mediamente un’ora e si conclude nell’Hosteria del Maiale e del Culatello per una degustazione di salumi.

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Il percorso inizia con un curioso pannello che raffigura l’aumento del peso medio dei maiali parmigiani di pianura dal 1500 ad oggi. L’incremento di peso, dovuto alla crescente disponibilità alimentare, è documentata dalle carte d’archivio.

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VOLTATO L’ANGOLO, LA VISITA PROSEGUE NEL PORTICATO DOVE INCONTRIAMO IL PRIMO PROTAGONISTA DELLA NOSTRA STORIA: IL TERRITORIO

Ci troviamo nella Bassa Parmense, quella fetta della pianura padana a nord della città di Parma, che si stende dal fiume Po alla via Emilia, delimitata a est dal fiume Enza e a ovest dal torrente Ongina, costeggiata da boschi e ricca di campi coltivati. Qui il rispetto per le tradizioni è reso visibile nel patrimonio artistico, culturale, storico e gastronomico formatosi nel tempo.

Le antiche famiglie dei Rossi, dei Sanvitale, dei Meli Lupi e dei Pallavicino, che hanno amministrato queste terre nel tempo, hanno eretto castelli e palazzi sontuosi ricchi di opere d’arte e la fede popolare ha lasciato tracce significative nelle antiche pievi, nelle chiese e negli oratori.

In questa terra, grazie alle caratteristiche geografiche e a determinate condizioni climatiche, da secoli matura il Culatello. Le zone di produzione sono i comuni di: Busseto, Polesine Parmense, Zibello, Soragna, Roccabianca, San Secondo, Sissa, Colorno.

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Il corso del Po, da sempre via privilegiata di trasporto, ha favorito i traffici commerciali, il passaggio delle persone e lo scambio delle esperienze, così che questa zona di confine è divenuta crogiolo di eccellenze.

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Il territorio è fortemente caratterizzato dal fiume e dal bosco, oggi di pioppi e un tempo di querce. Proprio la presenza di estese foreste con le loro risorse alimentari ha favorito nei secoli l’allevamento delle mandrie di maiali allo stato libero.

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ENTRANDO NELLA STANZA IN FONDO A SINISTRA INCONTRIAMO IL SECONDO PROTAGONISTA DELLA NOSTRA STORIA: IL MAIALE

Il maiale è diffuso in quasi tutti i continenti, dalle Isole Britanniche al Marocco, dal Giappone alla Nuova Guinea. Il cinghiale è il progenitore delle attuali varietà suine, addomesticate dall’uomo fin dalla preistoria. I primi allevamenti nel territorio parmense sono documentati già nell’età del Bronzo prima tra il XVII e il XII secolo prima di Cristo negli insediamenti delle Terramare e hanno dato vita ad una cultura che si è consolidata grazie ai Celti, agli Etruschi e ai Romani che si sono avvicendati in queste terre.

Il maiale ha avuto fin dall’antichità un ruolo di rilievo sia dal punto di vista alimentare, sia economico e commerciale, evidente ancora oggi, ma ha caratterizzato anche la mitologia e la cultura dei popoli.

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La quercia, albero sacro per eccellenza per la sua maestosità e forza, nella cultura celtica si lega al culto delle divinità ed è elemento importante per l’alimentazione del suino. Le ghiande, frutto delle querce, che in tempi remoti coprivano con fitte selve la vasta pianura lungo il Po, erano cibo essenziale per il maiale ed il suo ingrasso prima dei rigori invernali.

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I maiali originari del territorio parmense erano di razza Nera Parmigiana del ceppo iberico. Avevano tratti selvatici e peso ridotto. Fornivano carne e lardo di ottima qualità per la produzione dei salumi parmigiani.

Verso la fine dell’Ottocento, per motivi economici, furono incrociati con razze suine inglesi, a più rapido accrescimento, che ben presto lo sostituirono. Il maiale nero sopravvisse solo in pochi esemplari confinati nell’alto Appennino. Reintrodotti solo a partire dalla fine del Novecento, sono controllati e protetti dal Consorzio di tutela del suino Nero di Parma nato nel 2006. Oggi il maiale nero è tornato ad essere un protagonista dell’eccellente produzione di salumi della Bassa Parmense, in particolare del Culatello, dalle caratteristiche uniche e rare.

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Fin dall’antichità il maiale è considerato simbolo di fertilità e di abbondanza. Lo testimonia il fatto che la cassettina di risparmio abbia acquisito la forma del porcellino destinata ad essere rotta una volta colmata di denaro e risparmi. Ma anche numerosi altri oggetti di uso quotidiano hanno assunto, fin dall’antichità le forme del maiale, a testimoniare una famigliarità e un ruolo importanti.

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I maiali sono anche i protagonisti delle cartoline di area europea databili a partire dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla prima metà del Novecento, usate tradizionalmente nel nord Europa per gli auguri del nuovo anno. Il pannello mostra una selezione delle cartoline che fanno parte della ricchissima collezione – oltre mille esemplari – di Massimo Spigaroli, integralmente consultabile nel touch screen a parete. Il materiale è stato suddiviso per temi per facilitarne la consultazione.

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Molteplici sono i significati simbolici che l’immagine del maiale ha assunto nel corso dei secoli. Da sempre allevato dall’uomo è arrivato a diventare “uno di famiglia” nel quale spesso si finisce con l’identificarsi, come mostrano le immagini qui raccolte che spaziano dalla satira all’illustrazione, dal cinema, alla pubblicità, ai francobolli.

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LA VISITA CONTINUA NELLA SALETTA SUCCESSIVA DOVE INCONTRIAMO IL TERZO PROTAGONISTA DELLA NOSTRA STORIA: SANT’ANTONIO ABATE, PROTETTORE DEL MAIALE E DI TUTTI GLI ANIMALI DOMESTICI

Esiste un legame significativo e profondo tra Sant’Antonio Abate e il maiale. In origine il maiale, raffigurato ai piedi del Santo, simboleggiava le tentazioni del maligno. Ma l’importanza attribuita all’animale nella cultura contadina ha finito col modificarne il significato iconografico – da nemico a protetto – assegnando a Sant’Antonio il ruolo di protettore di tutti gli animali domestici, in primis del maiale.

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Sant’ Antonio è sempre rappresentato con il porcello ai piedi come testimoniano la statua, la formella votiva, la placca in metallo di uso liturgico e le immagini devozionali esposte in questa sezione. Il 17 gennaio, giorno dedicato a Sant’Antonio, i contadini erano soliti pulire le stalle e accudire con attenzione particolare gli animali domestici e la macellazione del maiale era sospesa per rispetto al suo protettore.

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L’immagine ripropone la figura di Sant’Antonio dal polittico dipinto da Benedetto Bembo nel 1462, oggi esposto al Castello Sforzesco di Milano, ma in origine collocato nella cappella del castello di Torrechiara. L’animale dipinto ai piedi del Santo è un maiale nero, tipico del nostro territorio, che presenta una fascia chiara, al contrario della Cinta senese, dal mantello rosa con fascia scura.

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Nel medioevo i Frati di Sant’Antonio allevavano i maiali, riconoscibili dal campanellino che portavano al collo, autorizzati a girare per le strade cittadine dove si cibavano dei rifiuti. Dal grasso di questi maiali veniva ricavato un unguento usato per curare l’Herpes Zoster, detto comunemente “Fuoco di Sant’Antonio”.

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UNA PORTA PERMETTE DI ACCEDERE ALLA SALA SUCCESSIVA DOVE INCONTRIAMO ALTRI PROTAGONISTI DELLA NOSTRA STORIA: LA FAMIGLIA DEGLI SPIGAROLI, AGRICOLTORI E NORCINI

Gli Spigaroli, che già nel cognome portano traccia di lontane attitudini agricole, alla fine dell’Ottocento erano mezzadri sui poderi del maestro Giuseppe Verdi e praticavano l’arte del norcino. Carlo Spigaroli, bisnonno dello Chef Massimo, era Masalén e d’inverno si spostava di fattoria in fattoria per preparare i salumi.

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Trasferitisi a Polesine all’antica Corte nel 1905, gli Spigaroli coltivavano il podere e i campi che, per lo spostamento del corso del fiume, erano rimasti isolati sulla sponda sud del Po. Per ridurre la fatica dell’attraversamento nel 1913 impiantarono un traghetto sul Po, che ben presto venne utilizzato da tutti per attraversare il fiume con carri e merci. Per accogliere le persone in attesa vennero allestite due capanne sulle due sponde, dove le donne di casa rifocillavano i viaggiatori con pane fatto in casa, salumi e vino.

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La Seconda Guerra mondiale distrugge in un attimo anni di lavoro. Ma l’attività riprende nel dopoguerra sulla sponda parmense col Lido di Polesine, dove si poteva mangiare e ballare e poi col ristorante Al Cavallino Bianco e, dal 1990, all’Antica Corte, acquistata e recuperata in ogni sua parte.

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Il norcino, Masalén nel dialetto locale, che si occupava della macellazione del maiale e della lavorazione delle carni era figura molto importante nel mondo rurale e aveva acquisito “sul campo”, lavorando a fianco di un vecchio norcino, le proprie capacità e competenze.

L’arrivo nelle case del norcino era un rito antico, quasi una festa collettiva che permetteva di preparare i salumi che garantivano la sopravvivenza della comunità. Gli Spigaroli sono stati norcini per generazioni e nella sala sono esposti la bicicletta attrezzata utilizzata per spostarsi da una cascina all’altra e alcuni attrezzi del mestiere.

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USCIAMO DALLA SALA E PASSIAMO NEL PICCOLO CORRIDOIO CHE CONDUCE ALL’ESTERNO SOFFERMANDOCI SULLA STORIA DELL’ANTICA CORTE PALLAVICINA…

Sorto nel XV secolo sui resti di una precedente fortificazione dei Pallavicino, il “Palazzo delle due torri”, come veniva chiamato, divenne residenza di campagna e centro agricolo. Caserma delle guardie confinarie del Ducato nella prima metà dell’Ottocento, il palazzo, sempre più minacciato dagli spostamenti del Po, viene venduto dai Pallavicino nel 1897. Nel 1904 viene acquistato dall’imprenditore bussetano Giuseppe Muggia che lo utilizza come base logistica per il porto fluviale e per le tramvie a vapore. Nel 1941 l’intero complesso è ceduto a Zemiro Usberti e torna ad essere fattoria agricola. Il degrado continuo a cui le piene del Po sottopongono la struttura porta gli ultimi proprietari a vendere. Nel gennaio del 1991 la Famiglia Spigaroli acquista il podere e l’immobile, che viene restaurato e riportato all’originario splendore e oggi ospita il Relais, il Ristorante, l’Hosteria e il Museo del Culatello.

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ALL’ESTERNO CI TROVIAMO DI FRONTE ALLA SEZIONE DEDICATA ALL’ANTICA FESTA CRUDELE DELLA MAIALATURA DOVE INCONTRIAMO UN NUOVO PERSONAGGIO DELLA NOSTRA STORIA: IL NORCINO ALL’OPERA

La figura del norcino, portatore di conoscenze fondamentali per il trattamento e la conservazione delle carni e la sopravvivenza della famiglia contadina, ha attraversato i secoli, dall’antichità romana fino ai tempi moderni. Le immagini che lo raffigurano al lavoro nei bassorilievi romani, nelle sculture e nei mosaici medievali, nelle miniature rinascimentali, scandiscono le varie fasi della macellazione e della produzione dei salumi. La sua attività è descritta in maniera suggestiva dai versi di Pomponio Torelli, conte di Montechiarugolo, nella seconda metà del Cinquecento. Per i più curiosi sulla destra è riportato un piccolo vocabolario dei termini del dialetto parmigiano legati al maiale.

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PROCEDIAMO A SINISTRA E SCENDIAMO LUNGO IL VIOTTOLO

Dalla nebbia che tutto avvolge nel rigido inverno padano, emerge l’immagine di alcuni contadini intenti a cuocere sul fuoco la cicciolata. A fianco sono esposti alcuni attrezzi utilizzati dai norcini come la fornacella con il paiolo e la forca.

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VARCANDO LA PRIMA PORTA A SINISTRA ACCEDIAMO ALLA GRANDE SALA DOVE POSSIAMO FINALMENTE CONOSCERE IL CULATELLO, VERO PROTAGONISTA DI TUTTA LA NOSTRA STORIA.

La carne di maiale era particolarmente apprezzata e utilizzata fin dall’antichità. La tradizione di preparare salumi e cucinare carne di maiale non andò persa nel Medioevo ma si rafforzò durante l’epoca delle invasioni barbariche fra il V e l’XI secolo dopo Cristo.

Nel basso Medioevo nacquero le Corporazioni di lavoratori preposti alla confezione e vendita dei salumi e divenne sempre più rilevante la figura del norcino. Nel pannello sono illustrati i principali tagli della carne suina e i salumi da essi ricavati con le loro specifiche caratteristiche nutrizionali.

Per la preparazione del Culatello si impiega la parte superiore del muscolo della coscia di maiale.

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L’uomo, fin dalla sua comparsa sulla terra ha cercato di prolungare la durata degli alimenti per ovviare alla stagionalità della natura e al calo di cibo tipico del periodo invernale. Ha così messo a punto, in maniera empirica, ingegnosi sistemi di conservazione.

A fianco dell’essiccazione al sole e dell’affumicatura, si è presto scoperto il ruolo straordinario che il sale può avere nella conservazione delle carni (come di numerosi altri alimenti).

Per la sua importanza il sale è stato impiegato fin dall’antichità anche per scopi curativi e come merce di scambio (da cui la parola salario).

La presenza sulle colline di Salsomaggiore e di Rivalta di sorgenti e pozzi di acqua salata è stata determinante nello sviluppo dell’attività salumiera: facendo bollire quelle acque era possibile ricavare un sale, ricco anche di oligominerali (iodio e bromo soprattutto) dalla forte attività antisettica. Per questo ne bastava meno per conservare i salumi ed era sicuramente più comodo ed economico di quello ricavato dalle saline di Cervia, vicino al delta del Po. Il pannello mostra alcuni rari documenti legati alle saline di Salsomaggiore e alla famiglia Pallavicino che le amministrò per secoli.

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In un’epoca in cui la conservazione degli alimenti era assai precaria e affidata al clima, l’uso delle spezie era essenziale per “coprire” odori e sapori sgradevoli. Così l’impiego delle spezie e soprattutto del pepe fu assai diffuso già dall’antichità, tanto che sono numerosissime le ricette del cuoco romano Apicio che prevedono l’impiego del pepe. Originario dell’India, doveva attraversare mari e deserti per giungere in Europa e per questo era costosissimo. Ingrediente prezioso e vero status symbol dell’antichità, al pari delle architetture e dell’abbigliamento, il pepe fu monopolizzato dalla Repubblica di Venezia fino al Cinquecento, quando la scoperta dell’America spostò i traffici sull’Atlantico.

Ancor oggi il pepe è essenziale per conferire profumate sfumature speziate al Culatello.

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Tra i salumi prodotti nella Bassa Parmense, vengono presentati accompagnati da una breve descrizione: il fiocchetto, la mariola, il prete, la spalla e i salami.

Il fiocchetto, dalla caratteristica forma a pera, è ottenuto dal muscolo anteriore della coscia, dopo aver estratto il Culatello. Può essere ricavato anche dalla fesa di spalla.

La mariola, tozzo salame dalla forma rotondeggiante, che dopo una lunga stagionatura viene servita cruda oppure cotta, viene ricavata da guancialetti, musetto, lingua e stinco di maiale.

Il prete, così denominato per la curiosa forma simile al copricapo dei sacerdoti, è ricavato dallo stinco di maiale, disossato e riempito con carne rifilata, salata e lievemente conciata.

I salami prodotti con ricette antichissime, sono ricavati da carni macinate e hanno nomi e sapori differenti a seconda del periodo di stagionatura e dei budelli utilizzati per l’insaccatura.

Il salame gentile è insaccato nel budello retto, il crespone e cresponetto nel grosso intestino, mentre lo strolghino, che riutilizza le rifilature del Culatello, in un budello sottile.

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La spalla, consumata cotta o cruda, è la parte anteriore della spalla del maiale, insaccata nella vescica. Alcuni documenti testimoniano che è il salume più antico della Bassa parmense, prodotto fin dal XII sec.

Era particolarmente apprezzata dal maestro Giuseppe Verdi che la inviava volentieri agli amici accompagnandola sapientemente ad istruzioni per la cottura.

Giuseppe Verdi uno dei massimi compositori italiani dell’Ottocento, nato a Roncole di Busseto nel 1813, era un personaggio di spicco della Bassa. Possidente terriero ed estimatore delle eccellenze gastronomiche, ha lasciato diverse lettere con suggerimenti e ricette per la cottura della Spalla di San Secondo.

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“Io sono un cupidissimo amatore del parmense Culatello” così amava definirsi Gabriele D’Annunzio, poeta e scrittore nato a Pescara in una lettera datata 30 giugno 1931 indirizzata all’amico scultore traversetolese Renato Brozzi.

MASSIMO SPIGAROLI:
“Un sentimento di amicizia fraterna legava lo scultore a mio nonno Luigi e i Culatelli che Brozzi spediva a D’Annunzio provenivano dalla cantina dell’Antica Corte Pallavicina. Anche Giuseppe Verdi amava il Culatello e nel 1862 dopo la fortunata prima della “Forza del destino” a San Pietroburgo aveva festeggiato immolando un culatello preparato da mio bisnonno Carlo”.

Il pannello mostra anche altri celebri personaggi che hanno lodato e citato il Culatello nei loro testi tra cui Riccardo Bacchelli, Cesare Zavattini, Gianni Brera e Peppino Cantarelli.

Si favoleggia della sua esistenza fin dal 1332 come prezioso regalo di nozze per i nobili Andrea dei Conti Rossi e Giovanna dei Conti Sanvitale e come dono spedito dai Marchesi Pallavicino agli Sforza del Ducato di Milano. Purtroppo, però, non sono stati trovati documenti che confermino queste narrazioni, anche se i colori rosso e argento del blasone della famiglia Pallavicino, sono stati ripresi nel marchio del Consorzio di Tutela del Culatello.

La prima citazione documentabile risale al 1735 in un Calmiere dei prezzi emanato dal Ducato di Parma. Nella letteratura, il Re dei Salumi compare per la prima volta nel Ottocento nelle rime del poeta dialettale parmigiano Giuseppe Maria Callegari che se lo immagina fra le pietanze servite in Paradiso.

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Il Culatello è un prodotto di salumeria dalla caratteristica forma a pera, imbrigliato in giri di spago che formano una sorta di rete a maglie larghe. Ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta nel 1996, indice di tutela e garanzia della genuinità, integrità e tracciabilità del prodotto.

Il Culatello ha il soprannome di Re dei Salumi e il titolo indiscusso è motivato dall’importanza che ricopre nella tradizione gastronomica italiana per il suo sapore inconfondibile, per la difficoltosa preparazione e per la pregiata qualità.

Le immagini mostrano le fasi principali della lavorazione di un Culatello, ricavato dal muscolo superiore della coscia posteriore del suino.

MASSIMO SPIGAROLI:
“Dopo aver effettuato il taglio della carne, si asporta l’osso e la cotenna. La carne viene salata e legata con spago avvolto a spirale. Dopo qualche giorno di riposo in ambiente fresco, si passa a massaggiare il Culatello con sale, pepe, aglio e vino bianco secco. Segue il riposo in cella frigorifera fino all’assorbimento della miscela di salagione.
A questo punto il muscolo viene avvolto nella vescica oppure nello stomaco del maiale.
Il Culatello viene riposto in cantine sotterranee a stagionare per almeno 18 mesi. Grazie al microclima della Bassa, alla presenza di umidità naturale e alla vicinanza del fiume Po, il Culatello arriva a disidratarsi e a perdere volume sino a raggiungere i 3 – 5 kg di peso. Esternamente è ricoperto da muffa nobile che conserva il prodotto e gli conferisce un profumo intenso e caratteristico e un gusto unico e irripetibile”.

L’immagine in basso a sinistra rappresenta Chef Spigaroli orgoglioso di mostrare la propria cantina ricolma di Culatelli che avrete modo di osservare proseguendo la visita.

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Per arrivare all’assaggio di una deliziosa fetta di Culatello è necessario svolgere una serie precisa di operazioni. Innanzitutto bisogna tagliare le corde che avvolgono il salume e spazzolarlo con cura. Poi deve essere avvolto per una notte in un canovaccio da cucina imbevuto di vino bianco o del vino leggero e frizzante come la Fortana. Infine la pelle deve essere eliminata e il grasso esterno rifilato. Le fette possono essere tagliate servendosi di un coltello manuale per salvaguardare il gusto in modo ottimale oppure utilizzando l’affettatrice.

MASSIMO SPIGAROLI:
Il Culatello al taglio si presenta di colore rosso rubino intenso e uniforme con venature di grasso nette e bianche. Mentre al palato è delicato e dolce, può cambiare il retrogusto a seconda della stagionatura. I consigli per una perfetta degustazione sono l’abbinamento ad un vino frizzante con bassa gradazione alcolica come la rossa Fortana oppure una bianca Malvasia ferma dei colli di Parma se la stagionatura del salume è più lunga. Per un abbinamento più raffinato, l’ideale è l’accompagnamento con bollicine di Metodo Classico o di Champagne Brut Rosé.

Il Consorzio del Culatello, cui aderiscono i 23 produttori, ha il ruolo di garantire la provenienza delle cosce e controllare tutte le fasi della produzione interamente artigianale.

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Dopo aver presentato i salumi della Bassa, qui vengono descritte le produzioni della zona collinare e dell’intero territorio di Parma.

Il Prosciutto di Parma, oggi noto in tutto il mondo, viene citato per la prima volta nello Statuto dei Beccai di Parma del 1309 con il termine baffa (forse dal tedesco backen: asciugare).

Il suo successo commerciale arrivò solo nel XIX secolo. Nel 1963 nacque il Consorzio del Prosciutto di Parma e il prodotto venne registrato come Denominazione di Origine Protetta nel 1996. È protagonista del Museo del Prosciutto di Parma con sede a Langhirano.

La Cicciolata si ottiene dalla lunga bollitura delle parti carnee e cartilaginose del maiale avanzate dalla preparazione degli altri salumi.

I Ciccioli vengono ricavati dalle parti magre e grasse che rimangono dalle varie lavorazioni, bollite e filtrate in seguito per la completa fuoriuscita del grasso liquefatto.

La Gola è così chiamata perché il lardo viene prelevato intero proprio dalla gola del suino. Viene consumata affettata sottilissima su pane caldo.

Il Lardo si ottiene dalla parte di grasso sotto la cotenna del dorso del maiale. Viene utilizzato tritato per preparare minestre, verdure oppure affettato sul pane o sulla polenta abbrustolita.

La Coppa si ricava dai fasci muscolari del collo che aderiscono alle vertebre cervicali e alle prime vertebre toraciche. La stagionatura richiede 60-90 giorni in locali umidi prima di essere consumata.

Il Lombino è ottenuto insaccando il lombo del maiale, salato e conciato. E’ un salume poco diffuso in passato e riscoperto recentemente grazie alla rivalutazione delle carni suine.

La Pancetta è la parte ventrale grassa stratificata della mezzena dei maiali pesanti. Viene stagionata dai due ai dieci mesi e tagliata sottile prima dell’assaggio.

Il Salame Felino viene prodotto nell’omonimo paese ed è ottenuto da tagli nobili del maiale tritati, conciati con sale, pepe, aglio e vino bianco, insaccati nel budello retto del suino. Ha ottenuto l’Indicazione Geografica Protetta (IGP) nel 2013 ed è protagonista del Museo del Salame con sede a Felino.

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Al fondo della vasta sala è esposta un’immagine raffigurante Giovannino Guareschi, celebre giornalista e scrittore, autore della saga di Don Camillo e Peppone, intento a scegliere un Culatello in cantina. L’ ennesima dimostrazione della considerazione che scrittori e personaggi illustri del passato avevano per questo nobile salume.

Dopo aver attraversato la sala riservata a sua maestà il Culatello, è possibile ammirare, in fondo a destra, lo scorcio delle antiche cantine dei Pallavicino con i Culatelli appesi a maturare.

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A sinistra si apre un piccolo ambiente dove sono appesi tutti i salumi ottenuti dalla lavorazione di un intero maiale: 2 Guanciali, 2 Pancette, 2 Coppe, 2 Spalle, 2 Culatelli, 2 Fiocchetti, 2 Preti, 1 Mariola e 15 Salami. Il pannello riporta il testo del “testamento del porco” che nella finzione letteraria lascia a differenti destinatari le varie parti del suo corpo.

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LA VISITA PROSEGUE USCENDO DALLA PORTA A FIANCO E SALENDO ALCUNI GRADINI FINO A RAGGIUNGERE LA PRIMA SALA A DESTRA

Qui sono esposti immagini, attrezzi e strumenti originali della prima metà del Novecento legati alla vita lungo il fiume, alla gestione degli argini e alla navigazione.

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VARCANDO LA PORTA A SINISTRA RAGGIUNGIAMO L’HOSTERIA DEL MAIALE E DEL CULATELLO DOVE È POSSIBILE DEGUSTARE I NOSTRI SALUMI E GLI STRAORDINARI PRODOTTI DEL TERRITORIO

DOPO ESSERCI RIFOCILLATI, PER CHI LO DESIDERA È ANCHE POSSIBILE PROSEGUIRE LA VISITA LUNGO L’ARGINE PER OSSERVARE L’ALLEVAMENTO DEI MAIALI ALLO STATO BRADO E L’AMBIENTE FLUVIALE IN UN PERCORSO AD ANELLO, SEGNALATO “PO FOREST”, DELLA DURATA DI CIRCA UN’ORA.

PERCORSO B – Le sale storiche del “Palazzo delle due Torri” – Scarica le audioguide di questo percorso in un unico file zip

BENVENUTI ALL’ANTICA CORTE PALLAVICINA, RESIDENZA DEI MARCHESI PALLAVICINO DAL XIII AL XIX SECOLO
PER VISITARE LE SALE DEL PIANO NOBILE, ATTRAVERSIAMO IL CORTILE FINO ALLA PORTA DI INGRESSO CHE SI APRE SULLA NOSTRA DESTRA.

La visita ha inizio nella prima sala, un tempo calda cucina, oggi accogliente ingresso, dove verremo avvolti in un’atmosfera incantata fatta di storia e di fascino.

L’edificio in cui ci troviamo, sorto per volere di Uberto Pallavicino “il Grande” alla metà del 1200 per controllare i traffici fluviali e il commercio del sale, viene in seguito abbandonato per quasi due secoli. La fine del 400 e l’inizio del 500 videro però grandi cambiamenti: la vecchia fortezza fu riadattata por volere del Marchese Galeazzo in una confortevole corte destinata alla cortigiana Bianca, sua amante segreta.

I lavori di restauro furono lunghi e meticolosi: vennero aperti gli antichi muri difensivi con ampie finestre e rialzato il palazzo, dotato al pianterreno di soffitti a volte e di camini in tutte le stanze.

Nella prima metà del Cinquecento nella sala dove ci troviamo venne allestita la cucina, meno soggetta alle piene del Po di quella precedente, posizionata nel seminterrato. Il fascione di gusto rinascimentale che potete osservare sopra il grande camino risale alla ristrutturazione cinquecentesca ed è andato in gran parte perduto.

Il girarrosto del camino funziona tramite un meccanismo con carrucole il cui disegno è riportato nei progetti del geniale Leonardo da Vinci.

Sulla sinistra in alto, vi era il piccolo alloggio del cuoco. Mentre la statua raffigurante un porcello al centro della stanza, a noi contemporanea e a cui Chef Massimo Spigaroli è profondamente legato, è un dono di Gualtiero Marchesi, il grande maestro che ha cambiato la cucina italiana.

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PROSEGUENDO IL PERCORSO A SINISTRA, CI TROVIAMO NELLA SALA DELLE STAGIONI

Le volte racchiudono rappresentazioni risalenti al 1600 che raffigurano scene di caccia, di pesca e di vita contadina. Le attività legate al mondo agricolo come la produzione di salumi e la lavorazione dei campi sono scandite dalle stagioni. La sala, caratterizzata dal grande camino, che in origine si trovava sulla parete esterna della sala, è sovrastata da un soffitto a volte.

Le due torri – che danno anche il nome al palazzo – racchiudono un loggiato a due ordini di arcate poggianti su colonne circolari. Sopra di noi, al primo piano, in origine si apriva un ampio salone dal soffitto a cassettoni che verrà frazionato nel Seicento per consentire il passaggio, all’interno dei nuovi muri divisori, delle canne dei camini del piano terra spostati nei muri interni.

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CONTINUANDO IL PERCORSO CI TROVIAMO NELLA SALA CENTRALE, LA SALA DEGLI STEMMI

Sopra al camino, nel lato sud della sala (verso la cittadina di Polesine), è visibile lo stemma della famiglia Pallavicino caratterizzato da un’aquila con lo scudo color argento e rosso.

Sul lato est che si trova verso il cortile, alla vostra sinistra, sono dipinti gli stemmi dei Duchi a cui il feudo di Polesine è stato soggetto. Al centro è raffigurato lo stemma dei Farnese, duchi di Parma dal 1545 al 1731. A sinistra lo stemma dei Visconti, Duchi di Milano e a destra l’insegna degli Sforza succeduti ai Visconti.

Tutt’attorno possiamo ammirare gli stemmi dei Pallavicino che si sono succeduti alla guida del feudo di Polesine, abbinati con quelli delle famiglie delle rispettive consorti. Adiacente alla porta è esposta la pergamena illustrativa dei vari stemmi per permettere il riconoscimento delle casate nobiliari.

Nel 1790 le sorti del palazzo saranno nelle mani di Antonio Maria Pallavicino che affitta l’edificio al Patrimonio dello Stato, come caserma per i Dragoni confinari. Il Palazzo torna così ad essere un luogo fortificato e nelle pareti vengono aperte feritoie per le armi da fuoco. Negli anni Trenta dell’Ottocento la presenza del Po diventa sempre più invadente, causando l’allagamento delle cantine sotterranee, che provocano cedimenti alle fondazioni. Per evitarne il crollo, l’edificio viene abbassato di un piano.

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ENTRANDO NELLA SALA ADIACENTE

Possiamo ammirare le decorazioni raffiguranti le divinità della mitologia greca che risalgono alla ristrutturazione del 1500. Ci troviamo nella Sala dell’Olimpo che è l’ultima stanza visitabile del Palazzo.

Le vicissitudini del palazzo si susseguono. Nel 1897 l’antico edificio è ceduto dai Pallavicino ad Alberto Galeotti, Sindaco di Soragna, che vorrebbe insediarvi un asilo per la popolazione del paese ma che abbandonerà presto l’idea a causa delle frequenti piene del Po che lo sommergono perché non protetto dall’argine maestro.

Nel 1904 palazzo e podere vengono acquistati da Giuseppe Muggia di origini ebraiche, titolare del servizio di tramvie a vapore da Parma a Busseto e Zibello e dell’impresa di trasporti fluviali.

Nel 1905 la famiglia Spigaroli diviene affittuaria di una parte del palazzo vivendo in condizioni di grande precarietà a causa degli allagamenti continui durante le piene del Po, che arriva ad abbattere una delle due corti del complesso.

Nel 1941 le leggi razziali porteranno Giuseppe Muggia a vendere il palazzo all’amico Zemiro Usberti, ricco possidente di Pieveottoville, che aveva già acquistato il podere circostante, cercando di mettersi in salvo. Catturato dai tedeschi a Venezia, sarà condotto in campo di concentramento in Germania da cui non farà più ritorno. Anche gli Spigaroli sono costretti ad abbandonare il palazzo durante la guerra.

Terminato il conflitto l’antica residenza torna ad essere fattoria e abitazione di renaioli, boscaioli e pescatori, che traggono profitto dalla vicinanza del fiume, ma il degrado è sempre più forte, tanto che la famiglia Usberti decide di venderlo.

Nel 1991 la famiglia Spigaroli vi farà ritorno ma questa volta in veste di proprietari. I fratelli Massimo e Luciano Spigaroli acquistano il palazzo in omaggio alle tre generazioni della famiglia che si sono succedute sul podere.

Dopo vent’anni di lunghi e accurati lavori di restauro è stato possibile restituire la dignità perduta all’antica residenza che oggi è chiamata Antica Corte Pallavicina.

Nell’ala Nord del complesso si trova il Ristorante, insignito dell’ambita Stella Michelin nel 2011 dopo soli due anni dall’apertura.

L’ Hosteria del Maiale e del Culatello ha aperto nel 2015 completando l’offerta gastronomica di Chef Spigaroli profondamente legata ai prodotti del territorio e provenienti prevalentemente dall’azienda agricola.

Il 2015 è anche l’anno di ampliamento del Relais: alle sei camere presenti, di cui due magnifiche suite, ne sono state aggiunte altre cinque.

Le cantine della Corte, dove un tempo i Marchesi Pallavicino facevano stagionare i salumi, sono tornate a custodire culatelli e ad ospitare eventi e suggestive cene.

E’ questa l’Antica Corte Pallavicina. Un luogo dove si respira storia, fascino e cultura del buon cibo!

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