Le nature morte – genere particolarmente in auge fra Cinque e Seicento – hanno spesso raffigurato anche i prodotti alimentari vanto del territorio parmense: formaggio Parmigiano, prosciutti e salami. Fa eccezione il Culatello, che, apparso la prima volta nel 1691 in una incisione del “Gioco della Cuccagna che non si perde e sempre si guadagna” di Giuseppe Maria Mitelli è poi “scomparso” dalla scena dell’arte per secoli, per riaffiorare solo in epoca contemporanea in una tela di Enrico Robusti del 2014. Proprio per questo l’opera merita un approfondimento.
Enrico Robusti nasce nella città dei Farnese nel 1957 e dopo gli studi di Giurisprudenza, si dedica completamente alla pittura. Si ispira allo stile di Van Dyck e di Rubens e alle vertigini di Correggio, ma le trasforma in maniera personalissima e attuale.
Salutato da positive recensioni della critica, riesce ad esporre anche oltre confine, fino a raggiungere centri artistici prestigiosi come Londra e Venezia.
Inizialmente lodato da Federico Zeri come ritrattista, Robusti trova la sua dimensione nel mondo della satira: i suoi quadri ci restituiscono scene quotidiane, rappresentate però in modo caricaturale. Il suo pennello riesce a catturare situazioni borghesi apparentemente comuni, ma portate fino al parossismo e al limite dell’assurdo.
Il suo obiettivo indaga la società dei consumi – dove si può avere praticamente tutto – trasformando momenti comuni in drammi, esagerati da una teatralizzazione estrema. Così come “esagerate” appaiono le sue opere, caratterizzate dalla deformazione dei soggetti e dalle prospettive vertiginose e distorte come in uno specchio da Luna Park.
Nelle sue tele Robusti utilizza spesso il cibo della sua terra, e più in generale del suo Paese, come “innesco” ed elemento catalizzatore della scena.
Il dipinto “Affettazione Liturgica” (olio su tela, 2014) vede il Culatello protagonista in un contesto satirico estremo, nel quale il pittore fonde e confonde sacro e profano: il pregiato salume, oggetto di ostensione, viene venerato dalla “fedele” in ginocchio per la sua preziosità in una liturgia del cibo che vede nel Salumiere il sacerdote di un rito totalizzante.