Nel settore della lavorazione e della stagionatura delle carni suine si conoscono e si impiegano numerosi strumenti di precisione per tenere sotto controllo svariati parametri basilari. Di norma questi dispositivi hanno una storia divisa tra l’oggetto “com’era ieri” e “come è oggi”. C’è però uno strumento che, seppure antichissimo, è forse l’unico a non essere mai cambiato. È la fibula, l’osso di cavallo utilizzato per “sondare” i salumi. Nella sua storia non ci sono uno “ieri” e un “oggi”, semplicemente perché da tempo immemorabile l’oggetto ha la stessa forma e ha conservato la medesima funzione.
A cosa serve la fibula?
Si utilizza per la “puntatura”, l’esame olfattivo che si esegue in fase di stagionatura forando il salume in cinque punti prestabiliti e annusandolo ogni volta per valutare l’eventuale presenza di difetti. È sostanzialmente un ago, ricavato da un frammento di osso di cavallo, appuntito da un lato e piatto dall’altro, che ha la peculiarità di trattenere il profumo della carne in cui viene inserito e di rilasciarlo altrettanto velocemente. Questo osso acuminato è il metacarpo accessorio del cavallo, per sua natura elastico e poroso. Una volta separato dalla tibia, è praticamente quasi pronte all’uso; viene semplicemente sottoposto a bollitura per pulirlo e poi raschiato e leggermente modellato, dopo di che è pronto a svolgere il suo compito: penetrare delicatamente nella carne senza lacerarla, per raccoglierne le caratteristiche organolettiche, fissando su di sé un’adeguata quantità di aromi, che rilascerà immediatamente una volta a contatto con l’atmosfera.
Il Puntatore e l’analisi “sensoriale” del prodotto
Sarà compito del puntatore, che è un po’ come il sommelier dei salumi, saper interpretare con l’olfatto la qualità del prodotto: senza tagliarlo né assaggiarlo, solamente tastandolo, battendolo col martelletto di legno, fiutandolo e bucandolo con l’osso appuntito. Con la puntatura o spillatura l’esperto riesce infatti a individuarne le particolarità: se è dolce oppure se è salato, se presenta dei difetti di lavorazione che non siano riscontrabili con l’osservazione visiva. La fibula viene utilizzata principalmente per i prosciutti stagionati, per i culatelli, i fiocchetti e le culacce. Nel prosciutto l’inserimento dell’attrezzo va fatta nel punto di contatto tra la parte magra e quella grassa, per circa un centimetro. Le parti chiave da “puntare” sono: la “corona” (o gambo) dove risiede l’articolazione; la parte appena sopra la noce, all’incirca dove si congiungono la vena femorale e l’arteria iliaca e, in seguito, un punto situato due centimetri circa a sinistra della noce, in corrispondenza di una fossetta; un punto sotto l’anchetta e infine un ultimo punto sopra l’anchetta, in corrispondenza dell’arteria iliaca. Lo stesso metodo della “puntatura” viene utilizzato per il culatello, sia durante la sua maturazione, sia alla fine, prima di metterlo in vendita.
La fibula a Parma
Concludiamo con una curiosità storica. Nell’area parmense la preparazione di cosce suine stagionate è documentata già in epoca romana da diversi autori, tra cui Polibio, Catone, Varrone. Non si sa invece con precisione a quando risalga l’antichissimo uso di “puntare” i salumi, perché le testimonianze sull’impiego dell’osso di cavallo sono alquanto recenti: il primo riferimento storico-documentario alla fibula risale al periodo napoleonico! Il 26 giugno 1805 Napoleone fece visita a Parma accolto dal Consigliere di Stato da lui nominato quale Amministratore dei dipartimenti di Parma, Piacenza e Guastalla, Méderic Moreau de Saint- Méry (1750-1819). Al sovrano venne descritta l’abilità di tale Medardo Fontana di Vianino, detto “näz dóls” (naso dolce), capace di selezionare i prosciutti più dolci e fragranti con l’unico aiuto dell’olfatto e di una fibula d’osso equino. Poté gustare ottimo prosciutto, altamente digeribile, che alleviò i disturbi dovuti alla gastrite di cui soffriva. Il felice esito della visita diede il via all’esportazione del Prosciutto di Parma in tutti i territori dell’Impero.