Protagonisti del gusto: Vito Fanfoni – Dove nasce il culatello, tra nebbia e mani sapienti

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La passione, la materia prima e il rispetto delle regole antiche di un mestiere che non si improvvisa.

A cura di Tatiana Cogo

Dopo averci raccontato i segreti per fare un salame “come si deve”, Vito Fanfoni torna a parlarci di un prodotto che rappresenta la quintessenza della tradizione norcina: il culatello.
Un capolavoro di tecnica, sensibilità e rispetto per la materia prima, che nasce solo dove la nebbia e il tempo sanno fare la loro parte.
A 78 anni, Fanfoni è una vera memoria vivente di questo mestiere: figlio d’arte, ha iniziato a imparare il lavoro da bambino seguendo il padre, norcino nei mesi d’inverno.
Dalla campagna parmense ha portato la sua conoscenza in giro per il mondo – dal Brasile alla Cina, dal Canada all’Australia – insegnando i segreti della norcineria e del “saper fare” italiano.
Con lui abbiamo parlato di passione, rispetto, qualità e futuro del mestiere del norcino, prendendo come punto di partenza uno dei prodotti più nobili della tradizione: il culatello.

Cosa prova ogni volta che inizia a preparare un culatello? C’è un momento, un gesto, un profumo che per lei rappresenta davvero l’essenza di questo mestiere?
Oggi le sensazioni arrivano alla fine più che all’inizio e sono positive se si è riusciti a fare un buon lavoro. Un tempo invece erano più all’inizio e partivano con l’uccisione del maiale. Animale per il quale c’era e c’è grande rispetto nel mondo contadino, dato che contribuiva alla sopravvivenza di molte famiglie.

Qual è secondo lei il passaggio più delicato nella lavorazione del culatello, quello che solo l’esperienza di un vero norcino può garantire?
Sicuramente quando si deve sezionare le mezzene e si deve tirare via dalla coscia il fiocco e il culatello. In questa fase deve esserci la massima attenzione perché se si sbaglia, questo prodotto non si può più fare e allora si opta per esempio per la macinazione per fare il salame. Perché come si diceva un tempo del maiale non si butta via niente ed è ancora così. Lo stesso vale per la spalla. Sono operazioni che necessitano di molta esperienza. Non sono cose che si imparano velocemente.

Oggi si parla molto di qualità e tracciabilità: cosa significa per lei “culatello di qualità”?
È una questione di materia prima, di tecnica, di tempo… o di rispetto per la tradizione?
È principalmente una questione di materia prima. Il maiale deve essere un po’ pesante, è importante che ci sia del grasso, perché è quello che dà il profumo. Se la coscia è troppo magra poi il culatello in fase di stagionatura si secca. E poi naturalmente la nebbia, il territorio. Per stagionare i culatelli servono cantine umide.

Cosa vuol dire oggi essere un norcino? Crede che ci sia ancora spazio per trasmettere ai giovani la cultura e il rispetto che stanno dietro a un culatello fatto come si deve?
Il vero norcino, per me, è colui che parte dall’inizio, dall’uccisione del maiale, ma oggi non è più così. Non è più possibile uccidere i maiali in campagna, non c’è più il norcino che arriva in bicicletta con il tabarro, se ne occupa il macello. Da un lato è molto meglio, ne guadagna l’animale che non soffre, i metodi sono molto cambiati. Fare il norcino è dura, anche se meno di un tempo, ma anche se arriva il maiale già pronto dal macello si comincia comunque alle sette di mattina per finire alle sette di sera.
Negli anni ho passato ciò che sapevo a qualche ragazzo, ma tendenzialmente è un lavoro che si passa in famiglia, di padre in figlio. Io ho iniziato a 12-13 anni seguendo mio padre. Ciò che più conta è la passione. Senza questa non è proprio possibile fare il norcino.