A cura di Giovanni Ballarini
Giuseppina Strepponi (1815-1897), soprano italiano, seconda moglie di Giuseppe Verdi e sua grande amica, confidente, consigliera. Per lungo tempo, del Maestro cura gli affari e la cucina divenendo esperta anche dei salumi che sono accolti nella villa di Sant’Agata vicino a Busseto e che il Maestro invia in regalo agli amici di Milano. Fra questi hanno un ruolo di primo piano Spallette e Culatelli, tanto che i masalèn (norcini) chi li producono a lei si rivolgono per un giudizio, quasi fosse una loro madre. Su questo abbiamo la possibilità d’intervistarla, in particolare sul Culatello, durante una visita alla Villa di Sant’Agata.
Per saperne di più sui gusti gastronomici di Giuseppina Strepponi e di Giuseppe Verdi e sulle metodiche di produzione del Culatello, vi consigliamo di leggere l’intervista impossibile di Giovanni Ballarini.
Gentilissima Maestra del bel canto, in queste terre vi sono villici, ma soprattutto masalén che la ritengono dotata di una speciale sensibilità a una particolare “musica” non sonora ma gustativa che in particolare emana dal Culatello, tanto da farla ritenere quasi una madre di questo pregiato salume.
Come certamente lei sa, io sono originaria di Lodi, terra dove non si produce il Culatello che imparo a conoscere e ad amare qui a Villa Sant’Agata da Giuseppe Verdi, Maestro di musica ma anche del buon vivere e mangiare. Figlio di un oste, Giuseppe nella sua vita, grazie anche ai numerosi viaggi, conosce ogni tipo di cibo, ma rimane fedele ai migliori se non eccelsi, così come la sua musica. È anche per questo che quando nel 1862 a San Pietroburgo si celebra il successo della Forza del Destino vuole sia presente il Culatello. Detto questo, voglio precisare che io non ritengo di essere la madre del Culatello, o per lo meno l’unica madre, perché questo prezioso salume ha un’altra madre in questo territorio e soprattutto in quella nebbia qui detta fumära. Di nebbie ve ne sono cento, anzi mille se non diecimila, perché ogni luogo ha la sua nebbia con la sua denominazione che cambia da stagione a stagione e di momento in momento. È come la neve della quale gli eschimesi conoscono dieci, venti e più varietà, ognuna con il suo nome. Diversa è la nebbia della montagna che si confonde con le nuvole, tanto che Giove si è trasformato in una nebbia, o nuvola, per sedurre la ninfa Io, come ha ben dipinto il grande Antonio Allegri più noto come il Correggio (1489-1534), dalla nebbia di pianura o di città. In queste terre la Fumära cambia di stagione e di mese in mese perché d’estate si presenta in un modo e d’inverno in un altro, mutando dalla sera, alla notte e al mattino. Differente anche per spessore e da qui il modo di dire ’Na fumära acsì fissa ch’ la s’ taja cól cortel (Una nebbia così fitta che si può tagliare con un coltello) o ’Na fumära acsì fissa ch’a t’ gh’é pól pozär incontra la biciclètta (Una nebbia così fitta che le si può appoggiare contro la bicicletta). Diversa per aspetto ma anche per aroma o profumo se emerge dal Grande Fiume Po o da un fosso, da un pioppeto o da campo appena arato o già coperto di vegetazione, con differenze che si riflettono sul comportamento degli animali, sull’umore degli uomini e sui loro alimenti, come il Culatello, del quale favorisce la maturazione e porta fermenti che ne favoriscono la crescita e ne determinano la qualità.
La nebbia madre del Culatello?
Padre del Culatello è il maiale, questo (come qualche altro padre) dopo averlo generato subito scompare. È la nebbia, o fumära, che nei primi, lunghi mesi nei quali il Culatello ancora in fasce, avvolto nella vescica che gli ha lasciato il padre, gli resta accanto come un neonato che deve essere accudito e curato. È sempre la fumära che nelle sere e notti nebbiose s’infiltra nelle finestre e finestrelle lasciate aperte nelle cantine nelle quali i Culatelli iniziano la loro maturazione e li va a trovare, accarezzandoli e quasi baciandoli, porta a loro la sua umidità carica di umori che favoriscono se non determinano lo sviluppo delle muffe così importanti per la loro qualità.
Abbia la compiacenza di meglio chiarirmi quest’ultimo aspetto sulle muffe e sul loro ruolo nella qualità dei Culatelli.
Credo che a tutti sia noto il rapporto che vi è tra l’umidità di cui ogni nebbia è costituita e lo sviluppo di muffe. Meno noto è che le infinite goccioline delle quali è costituita la nebbia non nascono a caso, ma ognuna di queste si forma su un minuscolo nucleo, e tra questi vi sono le spore dei funghi che intervengono a dare una particolare vita alla pelle che riveste il Culatello. La nebbia con le sue goccioline trasporta un mondo antico di muffe e batteri che si sviluppano sui Culatelli, complesso sistema vivente che fa parte integrante della loro maturazione, che si svolge durante la loro stagionatura e con tre funzioni. La prima e più importante è il rallentamento della degradazione delle proteine impedendo una putrefazione. La seconda, garantisce l’equilibrio nell’umidità del Culatello, controllando la penetrazione dell’umidità esterna e l’uscita di quella interna. La terza funzione delle muffe è la produzione di molecole antibatteriche che proteggono il Culatello dai microrganismi pericolosi o in grado di alterare il processo di stagionatura.
Capisco quanto mi dice, ma sono un curioso di sapere da dove provengono le spore delle muffe che la nebbia trasporta e che favoriscono il buon sviluppo dei Culatelli.
I funghi con le loro spore sono tra le prime forme di vita che compaiono sulla terra e sono diversi nei differenti territori, in un terreno appena arato o in attiva vegetazione, in un pioppeto o anche a desta o a sinistra di un fosso. Diversità che la nebbia può portare nelle cantine dove maturano i Culatelli. Altrettanto diverse sono le muffe, che fin dai tempi più lontani si sono formate e mantenute nella cantina di ogni casa con la sua stalla e fienile. Un ambiente di fermentazioni dell’uva (vino), farina di grano (pane), latte (formaggi) e anche fieno per gli animali. In questo ambiente pieno di fermenti, nella cantina erano posti a maturare i Culatelli, sulla cui superficie e anche grazie all’umidità, si sono sviluppate muffe caratteristiche di ogni luogo. Da qui il tradizionale uso di mettere i graspi d’uva residuati dalla produzione del vino nelle cantine dove maturano i Culatelli sotto la potenza delle muffe nobili.
Muffe nobili? Potrei avere qualche chiarimento?
Muffe nobili sono quelle che contribuiscono a creare la qualità di un Culatello e che vivono sulla sua pelle accanto a diverse varietà di batteri [lattobacilli, pediococchi, micrococcacee con capacità acidificante diversificata]. Di particolare importanza sono i Penicillium bianchi, ma anche quelli con colori che tendono al verde o al verde azzurrognolo. Invece le muffe di colore scuro, marrone e soprattutto nero indicano una cattiva stagionatura, come le muffe gialle e rosse che denotano un alterato livello di acidità, una cattiva qualità e il rischio di micotossine pericolose [ocratossina]. Allo stesso modo un Culatello privo o quasi di muffa può indicare una stagionatura troppo prolungata durante la quale le muffe sono state mangiate dall’acaro dei salumi [Tyrophagus putrescentiae) e da altri acari (Acarus siro e Glycyphagus domesticus].
Gentile, Signora Strepponi, nel ringraziarla di quanto mi ha detto, ora capisco bene perché tanto importante è l’individualità territoriale di questo salume e come sia possibile che alcuni l’hanno denominata Donna del Culatello.







