Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – Vincenzo Tanara tra Culatelli, Prosciutti, Salami e Parmigiano

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Un’antica leggenda narra che nei musei, sotto il patronato di Apollo, la notte del solstizio d’estate le Muse richiamino in vita le immagini e diano voce agli oggetti che si fanno intervistare. In una di queste occasioni una copia del libro L’economia del cittadino in villa di Vincenzo Tanara conservato al Museo del Culatello ci permette di intervistarne il nobile autore sui principali prodotti della gastronomia parmense.

VINCENZO TANARA TRA CULATELLI, PROSCIUTTI, SALAMI E PARMIGIANO

Quando arriva a Parma l’opera L’Economia del cittadino in villa (1644, ampliata nel 1648) del Marchese bolognese Vincenzo Tanara (Ca. 1600-ca.1669), panorama delle attività rurali e con molte informazioni sui cibi e alimenti, numerosi sono i commenti e le discussioni che ci spingono a intervistare l’autore. Accolti nella sua villa presso la città di Bologna, il Marchese – un uomo di media età, forte statura e corporatura e con una simpatica faccia rubizza – si presenta dicendoci “Vede i bianchi pantaloni che indosso? Sono fatti con la canapa che coltivo nei miei campi, come tutto quel che mi serve e che oggi potremo mangiare (N. d. I – Calzoni bianchi un anticipo del canto popolare “Sciur padrun da li beli braghi bianchi, fora li palanchi” delle mondine emiliane che andranno a lavorare nelle risaie?). Non sono soltanto appassionato per la caccia, ma soprattutto mi occupo dell’organizzazione della villa come una unità produttiva orientata alle produzioni che abbiano uno sbocco sul mercato. Ma è l’ora che ci mettiamo a tavola così potrò rispondere alle sue domande”.

Gentile Marchese, innanzitutto complimenti per il suo bel libro che ha riscosso un grande successo editoriale. Sono venuto da Parma, dove si fanno gli anolini, che nel suo libro lei mette assieme ai tortellini. Ma quale è per lei la differenza? Lei scrive anche di tortelli di ricotta e cosa può dire su quelli di erbetta?

Grazie per quanto mi dice dell’indubbio grande successo del mio libro, che purtroppo vedo anche stampato senza la mia approvazione e sue parti copiate senza citarne l’origine (N. d. I. – Tra queste vi sarà anche il Dizionario delle arti e de’ mestieri – Venezia 1770 di Francesco Griselini, 1717-1787). Ma vengo alla sua domanda. Tra tortellini e anolini la differenza non è solo di nome o di contenuto, che può essere diverso da luogo a luogo e anche da famiglia a famiglia, ma soprattutto per il modo di produzione. L’anolino è rotondo, ottenuto grazie a uno strumento che taglia ad anello due strati di pasta che dopo essere stati riempiti sono poi riuniti con una pressione sui bordi e per questo la pasta deve essere sufficientemente morbida e spessa. Per il tortellino, piccola torta anche a forma di cappello, la pasta è tagliata con il coltello in forma di quadri e deve essere sottile in modo da poter essere ripiegata attorno al contenuto e ottenere la forma desiderata un modo anche che il “nodo” di chiusura non sia troppo grosso e rimanga morbido dopo la cottura. I tortelli di ricotta o ravioli bianchi con bieta li possiamo fare solo quando questa è disponibile e, come dico nel mio libro, hanno bisogno di cacio di Parma grattato nel ripieno e di questo formaggio e burro come condimento e sono quindi un piatto ricco, signorile, soprattutto quando il ripieno è arricchito con molti e vari ingredienti e tra questi tartufi, funghi o anche prosciutto grattugiato.

Prosciutto grattugiato? Molte discussioni vi sono a Parma, patria di numerosi importanti salumi, anche sull’uso che lei dice di cuocere il prosciutto salato.

Proprio ora, mentre stiamo mangiando un arrosto di coscia fresca di maiale, le dico che forse non hanno letto bene o hanno frainteso quanto scrivo nel mio libro, che questa parte del maiale “è la meglio carne non solo del porco, ma d’ogni altro animale ed è forse la più sana”. Diverso è il prosciutto conservato con il sale, con le sue ossa e la sua cotica, in questi tempi estivi spesso rancido o irrancidito e con altre immondezze per cui è necessario cuocerlo in acqua con erbe, o nel vino o nel latte, per poi ottenere una carne che può essere servita nelle prime tavole (N. d. I. – come antipasto) calda o fredda con condimenti aromatici o in fette coperte con chiaro d’uova e zucchero. Parti di prosciutto salato sono così dure che possono anche essere grattugiate e usate per aromatizzare paste ripiene. Un prosciutto salato da cuocere è ben diverso dalle vostre Investiture di Parma, certamente non cotte, tanto celebri che mi dicono siano prese come simbolo della vostra città dal nostro Giuseppe Maria Mitelli.

Conosco le Investiture che a Parma chiamiamo Culatello, ma quanto mi dice di Mitelli mi è nuovo.

Poche sono le città che sono identificate da un cibo specifico, ma come lei ben sa, per le eccellenze vi è un formaggio che si chiama Parmigiano, come vi è un salume che all’estero è noto come “bologna” dalla città dove è nato e portato al massimo livello di qualità. Mi dicono che qui a Bologna l’incisore Giuseppe Maria Mitelli (1634-1718), giovane figlio d’arte del pittore bolognese Agostino Mitelli (1609-1660), stia preparando un’incisione per la stampa di un Gioco della Cucagna che mai si perde e sempre si guadagna. Questo gioco di percorso è simile a quello dell’oca e in venti caselle sono illustrate le prerogative gastronomiche di altrettante città d’Italia, terminando con la casella delle mortadelle di Bologna. In questo gioco, che andrà sulle tavole di tutta Italia, Parma è rappresentata con le sue Investiture e cioè una parte della coscia del maiale avvolta in una membrava (investita quindi) non da cuocere e che a Parma è detta Culatello, parola che Mitelli non usa, preferendole quella di Investiture, per pudore o per la scarsa comprensione da parte di giocatori di ogni parte d’Italia ai quali il gioco è destinato. Parma inoltre mi è nota per i suoi grossi salami che si mangiano crudi, come quelli che 15 gennaio 1576 sono stati usati per le nozze del Marchese di Scandiano Giulio Thiene (1551-1619) con la poetessa Anna Eleonora Sanvitale (1558-1582). Nel centrotavola del pranzo un salame raffigurava un cannone, mentre due segantini di burro tagliavano un tronco d’albero raffigurato da un altro salame (N. d. I. – Salami da ritenere usati in onore se non procurati della sposa, nata a Sala Baganza nei pressi di Felino, ancora oggi nota per i suoi prelibati salami).

Gentile Marchese, abbiamo parlato del Formaggio di Parma e delle Investiture o Culatello e dei salami di Parma e la ringrazio delle sue precisazioni. Voglio però aggiungere che salumi salati da cuocere e anche da non cuocere non sono una novità, ma solo varietà che cambiano e si sostituiscono nel corso del tempo. Ai suoi tempi molti i salumi, soprattutto prosciutti, spalle, salami e una Salama di Ferrara, sono fortemente salati e talvolta anche speziati per garantire loro una lunga e prolungata conservazione al termine della quale una cottura in acqua è quasi necessaria per dissalarli. Oggi a Parma mangiamo ottimi salami crudi come quelli da lei citati e stiamo vedendo che, sfruttando le condizioni climatiche dei nostri luoghi, certamente sempre più nel futuro potremo produrre prosciutti e anche spalle di maiale stagionati con poco sale e ottimi da mangiare senza doverli cuocere.